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Isole Vaganti / Zattera dei migranti

1992, fiume Adda, Lodi – 2005, Gallo Matese, Caserta

 

“Lavoro sull’immigrazione  avevo predisposto delle zattere giganti, da far vagare in un lago con della terra sopra. Le sementi, portate dal vento hanno fecondato quella terra. Gli alberi nati alla deriva sono cresciuti più forti, adattabili e agguerriti degli altri. Quando poi le zattere si sono arenate, gli alberi hanno messo radici e sono diventati indistinguibili dal resto della vegetazione. Noi ci affanniamo a evitare l’inevitabile, invece di assecondare la natura. Mi emozionò vedere la gente del paese, un paese di emigranti, aver capito profondamente l’opera.”

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Intervista a Giuliano Mauri (Gennaio 2005 – Piacenza):

 

– Quando hai conosciuto Gianni Sassi?
Nell’ ’82-’83, gli passai un articolo per Alfabeta. Da lì ci siamo frequentati assiduamente.

– Che tipo di collaborazione c’era tra voi?
Ho partecipato a Milanopoesia nell’ 1985 e poi nel 1992 a Teramo per “ AA.VV. Vedo Sento Parlo”. Per me è stato molto interessante.

– Com’era la tua partecipazione a Milanopoesia dove c’erano molti artisti e molto diversi da te?
A Milanopoesia nell’ ’85 avevo fatto un intervento alla rotonda della Besana. Una specie di accampamento padano. Per rinnovare un legame con la terra dove sono nato. L’idea era stata di Gianni, su un progetto di Cage, sulla musica, sulla crescita vegetale. Cage aveva messo dei microfoni, degli amplificatori su delle coltivazioni di cactus in crescita, per sentirne i rumori, cioè i suoni della crescita. Cage sosteneva che la vita vegetale, alla nascita e durante il suo sviluppo, emetteva dei suoni. La musica, credo, fosse in realtà una scusa: l’argomento era molto più profondo. Nella registrazione reale potevi sentire ogni tanto un cric o un crac piccolissimi, suoni quasi impercettibili. L’ intenzione era di trasportare questo progetto su una “lanca” dell’Adda. Gianni prese contatti con l’allora sindaco di Lodi, il presidente della provincia, ecc.

– Cos’ hai detto scusa, cos’è una “lanca”?
La “lanca” del fiume è un braccio molto molto vasto, di alcuni chilometri, che è stato tagliato via dal corso ufficiale e non ha più un’entrata e un’uscita, degli sbocchi e quindi le acque divengono quasi stagnanti. Su questo spazio acquatico si era pensato di costruire delle zattere di quattro, cinque metri, cariche di terra e lasciate libere di fluttuare su questo tratto di fiume. Su queste zattere di terra sarebbero nate senz’altro delle piante, in maniera casuale, come è la crescita su queste parti del fiume, e infatti così si è verificato. Avevo fabbricato quattro zattere iniziali, c’era tutto il materiale per costruirne altre 15, ne volevamo fare una ventina. Avevamo pensato ad una grande conchiglia fatta semplicemente di zattere caricate di terre, ma per una serie di ragioni, sono venuti a mancare dei fondi… la provincia non c’è stata più… solite cose, insomma. So che Gianni venne qui da me diverse volte, poi però il progetto è andato a finire in niente. Gianni voleva usare in sostanza questa scenografia messa in piedi da me per rendere visibile l’atteggiamento di John Cage: su queste zattere ci sarebbero stati dei microfoni. In realtà questo non si è fatto, però si è verificato quello che avevamo pensato all’inizio: queste quattro zattere sono diventate dei boschi galleggianti e poi addirittura li ho persi di vista perché si sono arenati evidentemente in punti non raggiungibili. Non li distinguevo più, perciò li ho persi proprio! Tante volte sono andato a cercarli… ho detto no, non è possibile … In realtà il pezzo galleggiante si è fuso colla riva ed è diventato un pezzo di terraferma. Questa esperienza mi fece riflettere sul nomadismo: lì veramente avevi la possibilità di verificare che un albero o un qualsiasi vegetale che di solito cresce con punti di riferimento obbligati (il polo nord/il polo sud, il caldo/il freddo) lì riusciva a farlo senza quei punti di riferimento. Tutte le piante che crescevano su questa isola che fluttuava, non avevano la possibilità di ripararsi dal caldo o dal freddo, erano in balia … allora questo mi faceva pensare alla potenza dell’emigrante: l’emigrante che viene qui è molto più forte di noi perché è abituato, naturalmente, ad essere senza punti di riferimento obbligati. Vi è venuto da pensare all’emigrante che arriva in Italia, dove la gente fa tutte le sere le stesse cose, l’emigrante invece si muove. In realtà non ci rendiamo conto che veramente sono più forti di noi, perché sono capaci di subire intemperie alle quali noi non sappiamo più resistere.

– Ricordi come è avvenuto il primo contatto con Sassi, ti aveva chiamato lui?
Si mi aveva chiamato lui. Il primo contatto che abbiamo avuto è stata questa pagina che gli ho dato per Alfabeta e poi le collaborazioni per Milanopoesia. Ricordo che mi parlò di questa idea che aveva in mente e io gli ho detto: “Non so si può realizzare questo accampamento padano”… E anche nell’ ’89 ho fatto un intervento all’’Ansaldo.

– Qual’era secondo te lo spunto che a lui interessava della tua arte?
Ricordo che allora ero molto schierato politicamente, ero abbastanza, diciamo, entusiasta e lui invece andava più cauto. Mi ha sempre messo in guardia dicendomi: “Tu stai facendo della poesia, non c’entra niente con la scultura “. Questo era l’aspetto, secondo lui, più evidente e me lo disse subito: “Giuliano, tu stai facendo della poesia, non puoi darti una definizione… Sei semplicemente uno che sta facendo poesia e questa deve essere la tua rivendicazione“. Questo mi ha detto in un’occasione… quasi come un richiamo a tesi politiche che io sostenevo. Aveva ragione lui, insomma.

– Che tesi politiche sostenevi?
Tutto quello che dicevo prima, sull’immigrazione. La leggevo esclusivamente come fatto politico, perciò consideravo qualcuno o qualcosa come colpevole… Chi o cosa costringe ad emigrare? Colpevole in questo caso era il capitale, la solita ideologia. Sì erano istruzioni per l’uso. Lui aveva invece puntualizzato molto più a fondo su queste cose. Tra l’altro lui, Gianni, mi ha dato la sensazione… cioè non era politicamente schierato, lui era “poeticamente” schierato. Questo è.

– Lui però era rivolto a sinistra, collaborava con l’Arci, la Lega delle Cooperative, ma in effetti alcuni più attenti dicono di lui che fosse schierato con l’arte e come tale al di sopra della politica.
Sì, questo era evidentissimo, per le poche volte che sono stato insieme a lui. Per esempio a Teramo, quando siamo stati alcuni giorni insieme, anche a dormire e mangiare, era un poeta, perchè aveva una sua logica poetica.

– In questi incontri con altri artisti come ti trovavi?
Sono sempre entrato un po’ così, in modo strano in tutte queste situazioni, in maniera un po’ trasversale, anche attualmente…si può dire, più semplicemente, che faccio delle cose strane. Per esempio in una scuola di Stoccarda recentemente ho fatto l’animatore. Avevamo teorizzato un intervento con gli scolari e quest’anno l’abbiamo finalmente definito e concluso, costruendo delle case ideali che potessero andare verso il cielo. Le abbiamo costruite su dei noccioli, nel modo più leggero possibile. Noi pensiamo naturalmente che i noccioli crescendo e alzandosi porteranno queste case verso il cielo.

Sono un artista? Non lo so. Sono un animatore? Non lo so. Mi piace pensare alla scuola di Stoccarda, che in seguito ha fatto anche un convegno su questo progetto. Sono riuscito ad instillare in questi ragazzi un’ipotesi, l’utopia del messaggio. Di fatti loro ci tenevano molto. Ragazzi dai 14 ai 20 anni, e c’erano anche tre professori molto entusiasti. L’ora di riunione in aula magna, il lavoro, l’ora di realizzazione: erano tutti momenti molto seguiti. Adesso spero di finire questo progetto che ho in piedi a Udine, una specie di tempio, finora abbiamo fatto le diciotto colonne che sostengono il tempio.. stiamo attrezzando tutta la copertura, tutto l’intreccio che sarà il cielo. Questo progetto viene svolto in agriturismi, c’è un appassionato e io gli ho inventato questo. A cosa serve…non lo so! Però è molto importante che io riesca a costruire una cosa che a me dà un’energia… fare un tempio vegetale… che cresce con la natura. Le foglie, le piante che crescono all’interno, ti permette di pensare all’evoluzione di questa costruzione vegetale. Quando saranno gli alberi a sostenere questo meccanismo, la gente domani potrà anche non pensare che è una cosa costruita, ma che è semplicemente esistente! Si porranno delle domande, perché la natura ha costruito questi inganni, queste strategie…lavoro tanti anni per questo!

– In questi anni hai continuato rapporti con le persone che hai conosciuto a Milanopoesia?
Sì, per esempio con Balestrini, Di Maggio, ma non ho partecipato a Veneziapoesia o altre iniziative specifiche sulla poesia, anche perché non saprei cosa fare. Un anno fa c’è stata al Politecnico di Torino una mostra sul mio lavoro, ed è stata rifatta dal Politecnico di Milano l’estate scorsa (2004) una giornata di studio: c’è una serie di persone che si interessano di questo aspetto. Daverio, per esempio, è molto interessato ed è bravo secondo me, perché è un antropologo, va a ricercare le ragioni.

– Ma tornando a Sassi, come riusciva lui ad entrare in quello che facevi tu?
Mi sembrava abbastanza attento al mio comportamento, è venuto qui diverse volte, per esempio a vedere il lavoro delle zattere, come si facevano, poi ho fatto un’altra esperienza con Colonetti sull’architettura nel ’92. Ma Sassi credo che “leggesse” molto bene il mio lavoro: più che alla forma guardava alle ragioni per cui io intraprendevo il mio progetto.

– Però era un cittadino legato alla città, tu invece sei legato alla terra, alla campagna, al fiume. Come metteva insieme la sua e la tua natura?
Non so come, ma lui attraverso le mie opere sentiva molto la natura. Mi fai ricordare… sì, lui era il cittadino che arrivava dalla città col vestito bello e si sedeva sui tronchi sporchi. Era un atteggiamento noncurante, ma di partecipazione. Ti accorgevi di questo sforzo che faceva per entrare in un altro meccanismo, ma si vedeva che apprezzava il bello di questo meccanismo.

– Credi che nel tuo lavoro gli interessassero le motivazioni, l’idea di fondo o il principio della crescita e del movimento?
C’era l’antropologo reale, il gioco dell’antropologia. Credo che sia questa la riflessione da fare.

– La difficoltà, infatti, di ricordare Sassi oggi è che lui non ha fatto un’opera, anche se ha realizzato riviste belle e importanti, manifestazioni e ha unito poeti e artisti diversissimi.
Attenzione lui era l’inventore delle cose, cosa che vale secondo me più del prestatore d’opera. Si può dire che lui addirittura ha “usato” gli artisti come prestatori d’opera, cioè il regista era lui, questo è il meccanismo. Non è affatto vero che gli artisti hanno fatto crescere lui, no, no: è lui che ha fatto crescere gli artisti. Gli artisti si sono posti nei confronti di Sassi come prestatori d’opera. Infatti io ritengo che le cose che io ho fatto con Sassi erano richieste di prestazioni d’opera, però le idee di che cosa si doveva fare erano sempre date da lui.

– Questo concetto è nuovo, farlo capire non è facile.
Tutte le persone che riuscirete ad intervistare dovranno parlare, come ho fatto io, di Sassi regista e art director, senza difendere se stessi, come tendono spesso a fare gli artisti; mettendo, invece, l’accento su che cosa ha significato quell’evento, quell’opera fatta all’interno di una manifestazione in un percorso artistico generale e in quel momento.